DI LIBERAZIONE IN LIBERAZIONE

10 aprile 2017 San Gimignano  – Alfonsine andata a ritorno, insieme ai compagni della sezione ANPI di San Gimignano,  per raccontare ancora una volta cosa è stata liberazione, per ricordare un’altro episodio della Resistenza, per continuare a coltivare e fare memoria.

Dove la Resistenza lascia le montagna e le città e si fa pianura.

Questo lavoro è stato realizzato e sostenuto dall’Anpi di San Gimignano ed insieme abbiamo provato a ricordare un evento della Resistenza italiana: Il 13 luglio 1944 le truppe alleate, con l’aiuto delle locali formazioni partigiane, hanno liberato San Gimignano dall’occupazione nazi-fascista. Nel gennaio 1945, sei mesi dopo aver contribuito ad allontanare gli occupanti tedeschi e i fascisti aderenti alla Repubblica Sociale Italiana dal proprio paese, 58 giovani sangimignanesi si sono arruolati come volontari nel “Nuovo Esercito Italiano di Combattimento e di Marina”. Hanno partecipato allo sfondamento della “Linea Gotica” e, il 10 aprile 1945, hanno liberato la città di Alfonsine”.

Con “Di Liberazione in Liberazione” prova a mostrare come quegli gli ideali che hanno spinto quei 58 giovani volontari sangimignanesi a lasciare il proprio paese per andare a liberare il resto dell’Italia siano ancora condivisi e meritino di essere tramandati in una sorta di passaggio di testimone generazionale. Separate dall’Appennino, Alfonsine e San Gimignano sono indissolubilmente legate dal loro vissuto. Le foto immortalano la festa per i 72 anni della Liberazione di Alfonsine e sono state esposte in occasione del 73° anniversario della Liberazione di San Gimignano: la storia di questi due piccoli centri italiani si rinnova di anno in anno e di celebrazione in celebrazione perché è ricordando il proprio passato che è possibile guardare al futuro, di Liberazione in Liberazione

“Domani è futuro, a rigore non argomento da trattare in un diario che deve occuparsi del presente o del passato prossimo, perciò faccio un salto in avanti di ventiquattro ore e racconto. 8 gennaio – questa mattina siamo partiti da San Gimignano e, dopo una breve sosta a Siena, abbiamo proseguito per la zona di operazioni, dove siamo arrivati che era già buio. Qui, davanti a me, c’è la linea gotica, piena zeppa di mitragliatrici e cannoni, pronti a sparare… Non riesco ad andare oltre. Prima di chiudere un saluto a te, caro diario; forse la fine del nostro sodalizio, anche se ti porterò con me. Non raccoglierai i miei pensieri, le mie fantasie, i miei sogni; ma spero di avere il tempo per leggerti più volte! Più che un desiderio è una speranza … ! Luciano Giomi
"E pensò che forse un partigiano sarebbe stato come lui ritto sull'ultima collina, guardando la città e pensando lo stesso di lui e della sua notizia, la sera del giorno della sua morte. Ecco l'importante: che ne restasse sempre uno. Scattò il capo e acuì lo sguardo come a vedere più lontano e più profondo, la brama della città e la repugnanza delle colline l'afferrarono insieme e insieme lo squassarono, ma era come radicato per i piedi alle colline. – I'll go on to the end. I'll never give up" Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny
Le lapidi sono importanti, i monumenti sono importanti, ma il più grande monumento, il maggiore, il più straordinario che si è costruito in Italia, alla Libertà, alla Giustizia, alla Re-sistenza, all’Antifascismo, al Pacifismo, è la nostra Costitu-zione. Teresa Mattei Partigiana “Chicchi” la più giovane eletta nell'Assemblea Costituente
“... Durante il Ventennio, solo al Cafè d’Cai si discuteva di ciò che succedeva nel mondo, i suoi avventori erano persone che avevano il coraggio di parlare apertamente ed erano molto informati, perché di nascosto ascoltavano i notiziari in lingua italiana che trasmettevano radio Londra, radio Mosca, specie durante la guerra. I fascisti del paese evitavano di entrare nel bar, anche perché non volevano trovarsi isolati tra gente sovversiva, tra gente che guardava criticamente il regime; ecco perché il Cafè d’Cai era considerato un covo di antifascisti. ...” Dal Libro di Antonio Pagani, E' Café d’Cai. Le avventure di un giovane alfonsinese durante il fascismo e la guerra
"La parola che mi è parsa riassumere meglio quello che era venuto così configurandosi come l'oggetto della ricerca è stata "moralità". Non "morale", termine che da una parte isolava il dato di coscienza individuale, dall'altra rischiava di scivolare nella retorica resistenziale. Non "mentalità" parola sulla quale si sono in breve tempo accavallate significati e polemiche nelle quali non intendevo addentrarmi ... ... Moralità è parola particolarmente adatta a disegnare il territorio sul quale si incontrano e si scontrano la politica e la morale, rinviando alla storia come possibile misura comune." Claudio Pavone
“Costruire un domani diverso e migliore, in cui non venisse chiesto a nessuno di essere eroe, ma semplicemente di essere se stesso, serenamente, in una comunità di uguali, con la responsabilità e i doveri che competono ogni cittadino” Ada Gobetti
Le condizioni sono difficili, la stampa si legge alle volte rapidamente e poi la si distrugge. Le tensione per chi vive nell’illegalità, isolato o in piccoli gruppi, non sempre favorisce un esame approfondito degli avvenimenti. Molto importante per noi tutti è la conoscenza dei ceppi familiari presso i quali viviamo, alle volte così compositi dal punto di vista politico, ideale e religioso. È un caleidoscopio di tradizioni, relazioni, affetti, sui quali pesano tensioni sociali, storia locale, formazione politica di generazioni. Forse i racconti vicino al fuoco potrebbero rappresentare per tutti, specie per i nostri ragazzi, una fonte preziosa di informazione anche per il comprendere il valore e l’incidenza della politica unitaria e le motivazioni che la sollecitano. 5 maggio 1944 Arrigo Boldrini “Bulow
Noi gli andammo incontro e ci accorgemmo con sorpresa che erano italiani della Divisione Cremona; ci abbracciammo, mentre tutti gridavamo pieni di gioia. C’era chi rideva, c’era chi piangeva dalla felicità e chi saltava. 10 aprile 1945 Dal Libro di Antonio Pagani, E' Café d’Cai. Le avventure di un giovane alfonsinese durante il fascismo e la guerra
“Cremonina: un nome insolito … e , in mezzo alle rovine, alle macerie, ai Caduti e ai feriti … spiccava questo segnale di speranza, una nuova vita che s’accendeva, una creatura che nasceva libera, un germoglio che vinceva l’aspra durezza delle zolle inaridite” Roberto Bonfiglioli
“pensavo che compiti fondamentali delle donne fossero la tolleranza, la comprensione, l’amore: e ancora non m’ero resa conto – come compresi – che non è vero amore quello che non sappia odiare chi minaccia di distruggerne l’oggetto. E se la donna è, proprio in quanto madre, naturalmente nemica della guerra e amante della pace, è però lontanissima per temperamento e per necessità da un generico e qualunquistico pacifismo” Ada Gobetti
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“Vedi – dissi a Igor – i partigiani che hanno avuto la fortuna di diventare vecchi, non ce l’hanno il cippo. Quello è stato fatto per i partigiani che sono morti giovani per mano fascista e nazista. Io per fortuna l’ho scampata e oggi ti posso raccontare ciò che ho visto” Guido Lisi
“Un mattino, mentre stavamo macellando, udimmo un aereo sorvolare il paese a bassa quota e distinguemmo, fra il rumore che provocava, un colpo sordo: come quello di una fucilata o di una bomba non esplosa. Ci avvicinammo alla finestra ma non vedemmo nulla di strano e tornammo al nostro lavoro. Dopo un quarto d’ora circa arrivò al pronto soccorso un ragazzo con la testa fasciata, un ragazzo che noi tutti conoscevamo: era Livio. Ci raccontò con tremore che quell’aereo aveva sganciato una bomba e aveva colpito il palazzo d’Marèn dove, nel sotterraneo, si trovavano decine e decine di persone, e la notte prima era arrivato anche un comando delle SS. A questo punto andammo di corsa con le barelle. Arrivati al palazzo non riuscivamo a capire in che modo la bomba lo avesse colpito, dato che non si vedeva alcuna rottura nella costruzione. Salimmo la bianca gradinata che portava al portone principale: la porta era divelta, ci affacciammo e rimanemmo sbalorditi nel vedere l’interno del palazzo colmo di macerie e cadaveri di militari e civili. Seppi, in seguito, incontrando in piazza due miei compagni e amici partigiani (Marii e Fiamett) mentre stavano entrando nella casa di Pitade’ (evidentemente di nascosto), che erano stati proprio loro a segnalare, tramite radio trasmittente, la presenza del comando S.S. nel palazzo di Marèn. Quel giorno ci fu un lavoro immenso per noi: per ore e ore togliemmo macerie ed estraemmo cadaveri di civili e di S.S.. Portammo i morti al terzo piano del Municipio e li ripulimmo; i militari furono portati via dai loro camerati, mentre i nostri civili furono seppelliti provvisoriamente dietro al mercato coperto. Per fortuna una parte del sotterraneo aveva resistito e non era crollato, altrimenti avrebbe ucciso altre decine di persone”. Tonino d’Cài
“Questa è stata denominata la “pianurizzazione” della lotta partigiana e fu una caratteristica tipica della Romagna. Bisogna ricordare però che tutto ciò fu possibile in quanto tutta la popolazione era nemica dei tedeschi. C’erano famiglie contadine che nascondevano intere squadre partigiane nelle loro case, altre non lo facevano, ma comunque mai ci furono denunce, mai nessuno tradì il vicino di casa o di podere. Il popolo era solidale con i partigiani contro i tedeschi e i fascisti” Olga Prati
“Piero non scelse la montagna nemmeno quando la nostra organizzazione di pianura sembrava sfaldarsi. Il suo posto era in basso, in città e per le campagne del cuneese, dove organizzava squadre cittadine e colpi di mano, dove tesseva una fitta rete di informatori e collegamenti: fra posti di blocco fascisti e tedeschi, fra spie e doppiogiochisti” Nuto Revelli

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